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Paulo Coelho
IL
CAMMINO DELL'ARCO
-Tetsuya.
Il ragazzo guardò con stupore lo straniero.
-Nessuno in questa città ha mai visto Tetsuya con un arco
in mano - rispose.
- Sappiamo tutti che lavora nella falegnameria.
-Può darsi che abbia smesso, che si sia scoraggiato, a
me questo non interessa
insistette lo straniero. - Ma se ha rinunciato al suo talento
non può essere considerato il miglior arciere del paese.
E per questo motivo sono stato in viaggio tanti giorni: per sfidarlo
e mettere la parola fine ad una fama che non merita più.
Il ragazzo capì che non serviva continuare a discutere:
era meglio portarlo dal falegname affinché vedesse con
i propri occhi che si stava sbagliando. Tetsuya stava lavorando
nella bottega sul retro della sua casa. Si voltò per vedere
chi stava arrivando, e il suo sorriso si interruppe a metà.
Gli occhi si fissarono sulla lunga borsa a tracolla che lo straniero
portava con sé.
-É esattamente quello che stai pensando - disse l'uomo
appena arrivato. -Non sono venuto fin qui per umiliare né
per provocare l'uomo che è diventato una leggenda. Vorrei
soltanto dimostrare che, con tutti i miei anni di esercizio,
sono riuscito a raggiungere la perfezione.
Tetusya accennò a tornare al suo lavoro: stava finendo
di mettere i piedi ad un tavolo.
-Un uomo che fu di esempio per tutta una generazione, non può
sparire come spariste voi - continuò lo straniero. - Seguii
i vostri insegnamenti, cercai di rispettare il cammino dell'arco,
e merito che voi mi vediate tirare. Se farete ciò, io
me ne andrò e non dirò ad alcuno dove si trova
il più grande di tutti i maestri.
Lo straniero estrasse dal suo bagaglio un lungo arco, fatto di
bambù laccato, con l'impugnatura posta un poco più
in basso rispetto al centro. Fece un inchino verso Tetsuya, si
diresse fino al giardino, e fece un altro inchino verso un luogo
determinato. Poi, estrasse una freccia ornata con piume di aquila,
aprì le gambe in modo da formare una base solida per il
tiro, con una mano portò l'arco fino all'altezza del viso,
con l'altra incoccò la freccia.
Il ragazzo osservava con un misto di allegria e stupore. E Tetsuya
aveva interrotto il suo lavoro, guardando lo straniero con curiosità.
L'uomo portò l'arco - con la freccia già incoccata
alla corda - fino al centro del petto. Lo innalzò sopra
la sua testa, e a man mano che faceva scendere le mani, iniziò
a tenderlo.
Quando la freccia arrivò all'altezza del suo volto, l'arco
era già completamente teso. Per un istante che sembrò
durare un'eternità, l'arciere e l'arco rimasero immobili.
Il ragazzo guardava il punto verso il quale la freccia stava
puntando, ma non vide niente.
Improvvisamente, la mano sulla corda si aprì, il braccio
venne spinto all'indietro, l'arco descrisse un cerchio elegante
nell'altra mano, e la freccia scomparve dalla vista, per tornare
a fare la sua comparsa lontano.
-Vai a prenderla- disse Tetsuya.
Il ragazzo tornò con la freccia: aveva trafitto una ciliegia
che si trovava per terra, a quaranta metri di distanza.
Tetsuya fece un inchino verso l'arciere, andò verso un
angolo della sua falegnameria, e prese una specie di legno sottile,
dalle curve eleganti, avvolto in una lunga fettuccia di cuoio.
Sciolse la fettuccia senza la benché minima fretta, e
comparve un arco simile a quello dello straniero - con la differenza
che sembrava essere stato molto usato.
-Non ho frecce, e ne avrei bisogno di una delle tue. Farò
ciò che mi hai chiesto, ma dovrai mantenere la promessa
che hai fatto: non rivelerai mai il nome del villaggio dove vivo.
"Se qualcuno chiederà di me, dì che sei andato
fino agli estremi confini del mondo per cercare di trovarmi,
per poi scoprire che ero stato morso da un cobra e che dopo due
giorni morii."
Lo straniero annuì con la testa, e gli allungò
una delle sue frecce.
Appoggiando una delle estremità del lungo arco di bambù
alla parete, e facendo uno sforzo molto considerevole, Tetsuya
sistemò la corda. Quindi, senza proferire parola, uscì
in direzione delle montagne.
Lo straniero e il ragazzo lo accompagnarono. Camminarono per
un'ora, finché giunsero ad una fenditura fra due rocce,
dove scorreva un fiume impetuoso: quel luogo poteva essere attraversato
solo per mezzo di un ponte di corda fradicio, mezzo pericolante.
Con tutta calma, Tetsuya arrivò fino al centro del ponte
- che oscillava pericolosamente - fece un inchino verso qualcosa
dall'altra parte, armò l'arco nella maniera in cui aveva
fatto lo straniero, lo innalzò, lo porto nuovamente al
petto, e tirò.
Il ragazzo e lo straniero videro che una pesca matura, che si
trovava a venti metri dal punto preso di mira, era stata trafitta
dalla freccia.
-Tu hai colpito una ciliegia, io ho colpito una pesca - disse
Tetsuya, tornando verso la sicurezza rappresentata dalla sponda.
- La ciliegia è più piccola. "Tu hai colpito
il tuo bersaglio a quaranta metri, e il mio si trovava a metà
di quella distanza. Quindi, tu sei in grado di ripetere quello
che hai fatto. Vieni fin qui al centro di questo ponte, e rifai
la stessa cosa."
Terrorizzato, lo straniero si diresse fino al centro del ponte
semi fradicio, tenendo gli occhi fissi al burrone sotto ai suoi
piedi. Fece gli stessi gesti rituali, tirò in direzione
dell'albero delle pesche, ma la freccia passò molto distante.
Facendo ritorno verso la sponda, il suo volto era pallido.
-Possiedi capacità, possiedi dignità, e possiedi
la postura giusta - disse Tetsuya. - Conosci bene la tecnica
e padroneggi lo strumento, ma non sai dominare la tua mente.
Sai tirare quando tutte le circostanze ti sono favorevoli, ma
trovandoti su un terreno rischioso, non riesci a raggiungere
l'obiettivo. Invece, l'arciere non sempre può scegliere
il suo campo di battaglia, per cui ricomincia l'allenamento e
tieniti pronto per le situazioni non a tuo favore.
"Prosegui nel cammino dell'arco, poiché è
il cammino di una vita. Ma cerca di imparare che un tiro corretto
e preciso è molto diverso da un tiro fatto con la pace
nell'anima."
Lo straniero fece ancora una volta un profondo inchino, ripose
il suo arco e le sue frecce nella lunga sacca a tracolla che
portava sulle spalle, e partì.
Sulla strada del ritorno, il ragazzo era esultante.
-Lo avete umiliato, Tetsuya! Dovete essere proprio il più
bravo di tutti!
-Non dobbiamo giudicare le persone senza prima imparare ad ascoltarle
e rispettarle.
Lo straniero era un uomo buono: non mi ha umiliato, né
ha tentato di dimostrare di essere il migliore, nonostante desse
l'impressione contraria. Desiderava mostrare il suo talento e
vederlo riconosciuto, al costo di dare l'impressione di starmi
sfidando.
"D'altronde, fa parte del cammino dell'arco affrontare di
tanto in tanto delle prove inaspettate, ed è stato esattamente
ciò che oggi lo straniero mi ha permesso di fare".
-Ha detto che eravate il più bravo di tutti, e io neppure
sapevo che eravate un maestro del tiro con l'arco. Se è
così, perché lavorate in una falegnameria?
-Perché il cammino dell'arco è utile per tutto,
e il mio sogno era di lavorare il legno. Inoltre, un arciere
che percorre questo cammino non ha bisogno dell'arco, né
della freccia, né del bersaglio.
-In questo villaggio non succede mai niente di interessante,
e improvvisamente mi rendo conto di stare al cospetto di un maestro
in un'arte alla quale nessuno è più interessato
- disse il ragazzo, con gli occhi che gli brillavano. - Che cos'è
il cammino dell'arco? Potete insegnarmelo?
-Insegnare non è difficile. Posso farlo in meno di un'ora,
mentre facciamo ritorno al villaggio. Ciò che è
difficile è esercitarsi tutti i giorni fino a raggiungere
la precisione necessaria.
Gli occhi del ragazzo sembravano implorare una risposta affermativa.
Tetsuya camminò in silenzio per quasi quindici minuti,
e quando riprese a parlare, la sua voce sembrava più giovane:
-Oggi sono contento: ho onorato un uomo che, molti anni fa, mi
salvò la vita.
Per questo motivo, ti darò tutte le regole necessarie,
ma non posso fare nient'altro a parte questo: se tu riesci a
comprendere quello che ti sto dicendo, potrai usare questi insegnamenti
per qualsiasi cosa desideri.
"Pochi minuti fa, mi hai chiamato maestro. Cos'è
un maestro? Ebbene io ti rispondo: non è chi insegna qualcosa,
ma chi ispira l'alunno a dare il meglio di sé per scoprire
una conoscenza che già possiede nella propria anima."
E mentre scendevano dalla montagna, Tetsuya illustrò il
cammino dell'arco.
GLI ALLEATI
L'arciere che non condivide con gli altri l'allegria dell'arco
e della freccia, non conoscerà mai le proprie qualità
e i propri difetti.
Perciò, prima di iniziare qualsiasi cosa, cerca degli
alleati - persone che si interessano a ciò che stai facendo.
Non sto dicendo: "cerca degli altri arcieri." Dico:
trova delle persone dalle differenti capacità, perché
il cammino dell'arco non è diverso da qualsiasi altro
cammino intrapreso con entusiasmo.
I tuoi alleati non saranno necessariamente quelle persone che
tutti guardano, restano incantati, e affermano: " non esiste
nessuno migliore." Proprio il contrario: sono persone che
non hanno paura di commettere errori, e quindi li commettono.
Per questo motivo, non sempre il loro lavoro verrà riconosciuto.
Ma è questo genere di persone che trasforma il mondo,
e dopo molti errori riesce a combinare qualcosa che farà
la più grande differenza all'interno della propria comunità.
Sono persone che non possono restare ad aspettare che le cose
succedano, per poi decidere qual è l'atteggiamento migliore
da assumere: loro decidono man mano che agiscono, pur sapendo
che questo può essere molto rischioso.
Vivere assieme a queste persone è importante per un arciere,
perché lui ha bisogno di capire che, prima di mettersi
davanti al bersaglio, deve essere sufficientemente libero per
cambiare direzione man mano che porta la freccia davanti al petto.
Quando apre la mano e lascia la corda, deve dire a se stesso:
"mentre tendevo l'arco, ho percorso una lunga via. Adesso
scocco questa freccia sapendo che ho rischiato a sufficienza,
e ho dato il meglio di me."
I migliori alleati sono quelli che non ragionano come gli altri.
Per questo, quando cerchi dei compagni con cui condividere l'entusiasmo
del tiro, fidati del tuo intuito, e non curati dei commenti altrui.
Le persone giudicano sempre gli altri avendo come modello i propri
limiti - e a volte l'opinione della comunità è
piena di preconcetti e timori.
Unisciti a chi sperimenta, rischia, cade, si fa male, e torna
a rischiare.
Allontanati da chi asserisce delle verità, critica chi
non la pensa come loro, non ha mai mosso un dito senza avere
la certezza che avrebbe ottenuto rispetto, e preferisce avere
certezze piuttosto che dubbi.
Unisciti a chi si espone e non ha paura di mostrarsi vulnerabile:
essi capiscono che le persone possono migliorare solo quando
osservano ciò che l'altro sta facendo, non per giudicarlo,
ma per ammirarlo per la sua dedizione e il suo coraggio..
Forse tu pensi che il tiro con l'arco non possa interessare a
un fornaio o a un agricoltore, ma io ti dico: loro trasferiranno
ciò che hanno visto in ciò che stanno facendo.
Anche tu farai lo stesso: imparerai da un bravo fornaio come
usare le mani, e come conoscere l'esatta miscela degli ingredienti.
Imparerai dall'agricoltore ad avere pazienza, a lavorare duramente
a rispettare le stagioni, e a non bestemmiare contro i temporali
- perché sarebbe soltanto una perdita di tempo.
Unisciti a chi è malleabile come il legno del tuo arco,
e comprende i segnali lungo il cammino. Sono persone che non
esitano a cambiare rotta quando scoprono una barriera insormontabile,
o quando scorgono un'opportunità migliore. Questa è
la qualità dell'acqua: cingere le rocce, adattarsi al
corso del fiume, a volte trasformarsi in lago finché l'avallamento
non si riempie e continuare così il proprio cammino, perché
l'acqua non dimentica che il suo destino è il mare, e
prima o dopo dovrà arrivare a lui.
Unisciti a chi non ha mai detto: "é finita, occorre
che mi fermi qui." Perché così come all'inverno
succede la primavera, niente può finire: dopo avere raggiunto
il tuo obiettivo è necessario ricominciare, avvalendoti
sempre di ciò che hai appreso durante il cammino.
Unisciti a chi canta, racconta storie, gode della vita, e ha
l'allegria negli occhi.
Perché l'allegria è contagiosa, e riesce sempre
ad evitare che le persone si lascino paralizzare dalla depressione,
dalla solitudine, e dalle difficoltà.
Unisciti a tutti coloro che fanno il proprio lavoro con entusiasmo.
Ma affinché tu possa essere utile a loro come loro sono
utili a te, bisogna sapere di quali strumenti sei dotato, e come
potrai perfezionare le tue capacità.
Quindi, è giunta l'ora di conoscere il tuo arco, la tua
freccia, il tuo bersaglio, e la tua via.
L'ARCO
L'arco è la vita: da lui viene tutta l'energia.
La freccia scoccherà un giorno.
Il bersaglio è distante.
Ma l'arco resterà sempre con te, e bisogna saper prendersene
cura.
Ha bisogno di periodi di inattività - un arco che è
sempre armato, in uno stato di tensione, perde la sua potenza.
Perciò, lascia che riposi, che recuperi la sua stabilità:
così quando tenderai la corda, lui sarà contento
e con la sua forza intatta.
L'arco non possiede coscienza: è un prolungamento della
mano e del desiderio dell'arciere. Serve per ammazzare o per
meditare. Perciò, le tue intenzioni siano sempre chiare.
Un arco è flessibile, ma ha anche un limite. Uno sforzo
al di là delle sue capacità lo spezzerà,
o lascerà esausta la mano che lo tiene stretto. Perciò,
cerca di essere in armonia con il tuo strumento, e non esigere
più di quanto ti possa dare.
Un arco sta riposando oppure è teso nella mano dell'arciere:
invece la mano è solo il luogo dove si concentrano tutti
i muscoli del corpo, tutte le intenzioni di chi tira, tutto lo
sforzo per il tiro. Perciò, per tenere l'arco aperto con
eleganza, fai in modo che ciascuna componente faccia solo il
necessario, e non disperda le sue energie. Così, potrai
scoccare molte frecce senza stancarti.
Per comprendere il tuo arco, bisogna che passi a far parte del
tuo braccio, ed essere un'estensione del tuo pensiero.
LA FRECCIA
La freccia è l'intenzione.
È ciò che unisce la forza dell'arco con il centro
del bersaglio.
L'intenzione deve essere cristallina, onesta, molto equilibrata.
Una volta che è partita, non farà ritorno, per
cui è meglio interrompere un tiro - perché i movimenti
per arrivare fino a lì non erano precisi e corretti -
che agire in una maniera qualsiasi, soltanto perché l'arco
era già teso e il bersaglio stava attendendo.
Ma non smettere mai di scoccare la freccia se l'unica cosa che
ti paralizza è la paura di sbagliare. Se i movimenti che
hai fatto sono corretti, apri la tua mano e lascia la corda.
Anche se non raggiunge l'obiettivo, la prossima volta saprai
perfezionare la tua mira..
Se non corri dei rischi, non saprai mai quali cambiamenti erano
necessari.
Ogni freccia lascia un ricordo nel tuo cuore - ed è la
somma di questi ricordi che ti farà tirare sempre meglio.
IL BERSAGLIO
Il bersaglio è l'obiettivo da raggiungere.
É stato scelto dall'arciere, ma è distante, e non
possiamo mai fargliene una colpa quando non lo si centra. In
ciò alberga la bellezza del cammino dell'arco: non ti
puoi mai scusare, dicendo che l'avversario era più forte.
Se stato tu a scegliere il tuo bersaglio, e ne sei responsabile.
Il bersaglio può essere grande, piccolo, essere a destra
o a sinistra, ma tu devi sempre metterti davanti a lui, rispettarlo,
e fare sì che si avvicini mentalmente.
Solo quando si troverà sulla punta della tua freccia,
quello è il momento in cui devi lasciare la corda.
Se guardi al bersaglio come ad un nemico, potrai comunque colpire
il bersaglio, ma non riuscirai a migliorare niente in te stesso.
Passerai la vita tentando soltanto di conficcare una freccia
al centro di una cosa di carta o di legno, il che è assolutamente
inutile. E quando starai con altre persone, ti lamenterai che
non fai niente di interessante.
Per questo, occorre che tu scelga il tuo bersaglio, che dia il
meglio di te stesso per raggiungerlo, e che lo guardi sempre
con rispetto e dignità: occorre che tu sappia cosa significa,
e quanto ti è costato lo sforzo, l'allenamento, l'intuizione.
Guardando il bersaglio, non concentrarti solo su di esso, ma
su tutto quello che succede attorno: perché la freccia,
quando viene scoccata, si imbatterà con fattori che di
tu non calcoli, come il vento, il peso, la distanza.
Tu devi capire il bersaglio. Bisogna che ti domandi costantemente:
"se sono il bersaglio, dove sono? In che maniera mi piacerebbe
essere centrato, in modo da dare all'arciere quella rispettabilità
che merita?"
Poiché un bersaglio esiste nella misura in cui esiste
un arciere. Ciò che giustifica la sua esistenza è
il desiderio dell'arciere di centrarlo - altrimenti sarebbe una
cosa morta, un pezzo di carta o di legno, al quale nessuno presterebbe
attenzione.
Così, nello stesso modo in cui la freccia cerca il bersaglio,
anche il bersaglio cerca la freccia, perché è lei
che dà senso alla sua vita: non è più un
pezzo di carta, ma è il centro del mondo di un arciere.
LA POSIZIONE
Una volta compreso l'arco, la freccia, e il bersaglio, occorre
possedere serenità ed eleganza per imparare la pratica
del tiro.
La serenità viene dal cuore. Sebbene sia spesso tormentato
da idee di insicurezza, lui sa che - attraverso la corretta posizione-
otterrà il meglio di sé.
L'eleganza non è una cosa superficiale, bensì è
la maniera escogitata dall'uomo per onorare la vita e il proprio
lavoro. Per questo, quando talvolta avverti che la posizione
ti è scomoda, non pensare che sia finta o innaturale:
lei è vera perché è difficile. Lei fa sì
che il bersaglio si senta trattato con rispetto dalla dignità
dell'arciere.
L'eleganza non è la posizione più comoda, ma la
posizione più appropriata affinché il tiro sia
perfetto.
L'eleganza si raggiunge quando si elimina tutto il superfluo,
e l'arciere scopre la semplicità e la concentrazione:
più la posizione è semplice e sobria, più
sarà bella.
La neve è bella perché è solo di un colore,
il mare è bello perché sembra una superficie piana
- ma sia il mare che la neve sono profondi e conoscono le proprie
qualità.
COME INCOCCARE
LA FRECCIA
Incoccare la freccia significa essere in contatto con la propria
intenzione.
Bisogna osservarne tutta la lunghezza, vedere se le piume che
guidano il suo volo sono messe bene, controllare la punta, assicurarsi
che sia affilata.
Accertarsi che sia diritta, che non sia stata piegata o danneggiata
da un tiro precedente.
La freccia, con la sua semplicità e leggerezza, può
sembrare fragile - ma la forza dell'arciere fa sì che
riesca a portare lontano l'energia del suo corpo e della sua
mente. Racconta la leggenda che una semplice freccia fu in grado
di affondare una nave, perché l'uomo che la scoccò
sapeva dove si trovava il punto più debole del legno,
e così riuscì ad aprire una falla che fece sì
che l'acqua entrasse senza far rumore nella stiva, annientando
la minaccia degli invasori del suo villaggio.
La freccia è l'intenzione che abbandona la mano dell'arciere,
e parte in direzione del bersaglio - dunque, lei è libera
durante il volo, e seguirà il cammino che le è
stato destinato al momento del tiro.
Sarà toccata dal vento e dalla gravità, ma questo
è parte del suo percorso: una foglia non smette di essere
foglia solo perché un temporale l'ha strappata dall'albero.
Così è l'intenzione dell'uomo: perfetta, onesta,
affilata, salda, precisa. Nessuno riesce a trattenerla mentre
attraversa lo spazio che la separa dal suo destino.
COME REGGERE
L'ARCO
Mantieni la calma e respira profondamente.
Tutti i movimenti vengono osservati dai tuoi alleati, che ti
aiuteranno nella misura necessaria.
Ma non dimenticarti che anche l'avversario ti sta osservando,
e conosce la differenza tra una mano ferma e una mano tremante:
pertanto, se ti senti teso, respira profondamente, perché
ciò ti aiuterà a trovare la concentrazione durante
tutte le fasi del tiro.
Nel momento in cui reggi il tuo arco e lo disponi - con eleganza
- di fronte al tuo corpo, cerca di rivedere mentalmente ogni
passaggio che ti ha portato a preparare il tiro. Ma fallo senza
tensione, perché è impossibile tenere tutte quante
le regole in mente: e con un atteggiamento tranquillo, mano a
mano che rivedi ogni passaggio, prenderai coscienza dei momenti
più difficili, e di come li hai superati.
Questo ti darà fiducia, e la tua mano non tremerà
più.
COME TENDERE
LA CORDA
L'arco è uno strumento musicale, ed è nella corda
che si manifesta il suo suono.
La corda è grande, ma la freccia la tocca soltanto in
un piccolo punto, ed è in questo punto che deve essere
concentrata tutta la sapienza e l'esperienza dell'arciere.
Se lui si inclina un po' a destra, o un po' a sinistra, se questo
punto si trova più in cima o più in basso rispetto
alla linea di tiro, l'obiettivo non verrà mai raggiunto.
Pertanto, nel momento in cui tendi la corda, sii come un musicista
che suona il suo strumento. Nella musica, il tempo è più
importante dello spazio: un gruppo di note messe in fila non
significano niente, ma chi legge quello che è scritto
lì riesce a trasformare questa fila in suoni e battute.
Così come l'arciere giustifica l'esistenza del bersaglio,
la freccia giustifica l'esistenza dell'arco: tu puoi scoccare
una freccia con una mano, ma un arco senza freccia non ha nessuna
utilità.
Quindi, quando allarghi le braccia, non pensare che stai tendendo
l'arco. Pensa che la freccia è il centro, immobile, e
tu stai facendo in modo che le loro estremità si avvicinino,
toccandola con attenzione, chiedendo che cooperi con te.
COME GUARDARE
IL BERSAGLIO
Molti arcieri, nonostante pratichino da anni l'arte del tiro,
si lamentano di sentire ancora il cuore battere all'impazzata
dall'ansia, la mano tremare, la mira vacillare. Occorre che comprendano
che una freccia o un arco non sono in grado di cambiare niente
- ma l'arte del tiro fa sì che i nostri errori siano più
evidenti.
Il giorno in cui non proverai più amore per la vita, il
tuo tiro sarà confuso, complicato. Ti renderai conto di
essere senza forza sufficiente per tendere la corda al massimo,
di non riuscire a piegare l'arco come si deve.
E quella mattina rendendoti conto che il tuo tiro è confuso,
cercherai di scoprire cosa ha causato una così grave imperfezione:
ciò farà in modo di metterti faccia a faccia con
un problema che ti angustia, ma che fino ad allora era rimasto
nascosto.
Succede anche il contrario: il tuo tiro è sicuro, la corda
vibra come uno strumento musicale, gli uccellini cantano attorno.
Allora capisci che stai dando il meglio di te.
Nel frattempo, non farti influenzare dai tiri della mattina,
sia che fossero precisi o incerti. Ci sono ancora molti altri
giorni davanti a te, e ogni freccia è una vita a parte.
Serviti dei brutti momenti per scoprire ciò che ti fa
tremare. Serviti dei momenti belli per trovare la tua via verso
la pace interiore.
Ma non smettere né per paura né per allegria: il
cammino dell'arco è una via senza fine.
IL MOMENTO
DI SCOCCARE
Esistono due tipi di tiro.
Il primo è quello effettuato con precisione, ma senza
anima. In questo caso, anche se l'arciere possiede un grande
dominio della tecnica, egli si è concentrato esclusivamente
sul bersaglio - e per questo motivo non si è fatto progressi,
è diventato ripetitivo, non è riuscito a crescere,
e un giorno abbandonerà il cammino dell'arco, perché
ritiene che tutto sia diventato ripetitivo.
Il secondo tiro è quello effettuato con l'anima. Quando
l'intenzione dell'arciere si tramuta nel volo della freccia,
la sua mano si apre al momento giusto, il suono della corda fa
cantare gli uccelli, e il gesto di scagliare lontano un oggetto
qualunque determina - paradossalmente - un ritorno e un incontro
con se stessi.
Tu sai lo sforzo che ti è costato tendere l'arco, respirare
correttamente, concentrarti sul tuo obiettivo, avere ben chiara
la tua intenzione, mantenere l'eleganza della postura, rispettare
il bersaglio.
Ma occorre anche che tu comprenda che niente in questo mondo
rimane a lungo con noi: in un dato momento la tua mano dovrà
aprirsi, e lasciare che la tua intenzione segua il proprio destino.
Pertanto, la freccia deve partire, per quanto tu ami tutti i
passi che ti portarono fino alla posizione elegante e alla giusta
intenzione, e per quanto tu ammiri le sue piume, la sua punta,
la sua forma.
Ma lei non può scoccare se prima l'arciere non è
pronto per il tiro, perché il suo volo sarebbe breve.
Lei non può scoccare se non dopo che si sono raggiunte
la posizione e la concentrazione giusta, perché il corpo
non resisterebbe allo sforzo e la mano inizierebbe a tremare.
Lei deve scoccare nel momento in cui l'arco, l'arciere, e il
bersaglio si trovano nello stesso punto dell'universo: ciò
si chiama ispirazione.
LA RIPETIZIONE
Il gesto è l'incarnazione del verbo: ossia, un'azione
è un pensiero che si manifesta.
Un piccolo gesto ci rivela, per cui dobbiamo perfezionare tutto,
pensare ai dettagli, imparare la tecnica in maniera tale che
diventi intuitiva. L'intuizione non ha niente a che vedere con
il fare le cose meccanicamente, ma con una disposizione dello
spirito che va oltre la tecnica.
Così, dopo molto esercizio, non pensiamo più a
tutti i movimenti necessari: finiscono per diventare parte della
nostra esistenza. Ma per raggiungere ciò, occorre allenarsi,
ripetere.
E come se non bastasse, occorre ripetere e allenarsi.
Osserva un bravo fabbro che lavora l'acciaio. Per un occhio non
allenato, sta ripetendo gli stessi colpi di martello.
Ma chi conosce il cammino dell'arco, sa che ogni volta che solleva
il martello e lo cala, l'intensità del colpo è
diversa. La mano ripete lo stesso gesto, ma man mano che si avvicina
al ferro, capisce se deve colpirlo con più forza o con
più leggerezza.
Lo stesso succede con la ripetizione: anche se sembra la stessa
cosa, è sempre diversa.
Osserva il mulino. Per chi guarda le sue pale solo una volta,
sembra che giri con la stessa velocità, ripetendo sempre
lo stesso movimento.
Ma chi conosce i mulini sa che sono influenzati dal vento, e
cambiano direzione ogni qual volta sia necessario.
La mano del fabbro è stata educata dopo aver ripetuto
migliaia di volte il gesto di martellare. Le pale del mulino
sono in grado di muoversi velocemente, dopo che ha tirato un
forte vento e ha fatto sì che i suoi ingranaggi restassero
scorrevoli.
L'arciere lascia che molte frecce oltrepassino il suo obiettivo,
perché sa che imparerà l'importanza dell'arco,
della postura, della corda, e del bersaglio, dopo aver ripetuto
i suoi gesti migliaia di volte, senza timore di sbagliare.
E i veri alleati non lo esporranno mai a critiche, perché
sanno che l'allenamento è necessario, è l'unica
maniera di perfezionare il proprio istinto e il suo colpo.
Finché non arriva il momento in cui non occorre più
pensare a quello che si sta facendo. A partire da quel momento,
l'arciere passa a essere il suo arco, la sua freccia, e il suo
bersaglio.
COME OSSERVARE
IL VOLO DELLA FRECCIA
Una volta che la freccia è stata scoccata, non c'è
più niente che l'arciere possa fare, se non accompagnare
il suo tragitto verso l'obiettivo. A partire da questo momento,
la tensione necessaria per il tiro non ha più motivo di
esistere.
Pertanto, l'arciere tiene gli occhi fissi al volo della freccia,
ma il suo cuore riposa, e lui sorride.
La mano che lascia la corda viene spinta all'indietro, la mano
sull'arco fa un movimento di espansione, l'arciere è costretto
ad aprire le braccia e affrontare, a petto libero, lo sguardo
dei suoi alleati e dei suoi avversari.
In questo momento, se si è sufficientemente allenato,
se è riuscito a sviluppare il suo istinto, se è
riuscito a mantenere l'eleganza e la concentrazione durante tutto
il processo del tiro, sentirà la presenza dell'universo,
e vedrà che la sua azione è stata giusta e meritata.
La tecnica fa sì che le sue due mani siano pronte, che
la respirazione sia precisa, che gli occhi possano fissare il
bersaglio. L'istinto fa sì che il momento del tiro sia
perfetto.
Chi passasse da vicino e vedesse l'arciere con le braccia aperte,
con gli occhi che accompagnano la freccia, penserà che
sia immobile. Ma gli alleati sanno che la mente di chi ha effettuato
il tiro ha cambiato dimensione, adesso si trova in contatto con
tutto l'universo: continua a lavorare, a imparare tutto ciò
di positivo che ha portato quel tiro, a correggere gli eventuali
errori, a accettare le sue qualità, ad aspettare per vedere
come reagisce il bersaglio quando viene centrato.
Quando l'arciere tende la corda, può vedere il mondo intero
nel suo arco.
Quando accompagna il volo della freccia, questo mondo si avvicina
a lui, lo accarezza, e fa in modo che abbia la nitida sensazione
di aver compiuto il proprio dovere.
Ogni freccia vola in maniera diversa. Scocca mille frecce, ciascuna
ti mostrerà un tragitto distinto: questo è il cammino
dell'arco.
L'ARCIERE
SENZA ARCO, SENZA FRECCIA, SENZA BERSAGLIO
L'arciere impara quando dimentica le regole del cammino dell'arco,
e passa ad agire basandosi soltanto sul proprio istinto. Mentre,
per dimenticare le regole, occorre saperle rispettare e conoscerle.
Quando raggiunge questa condizione, non ha più bisogno
degli strumenti che lo hanno fatto imparare. Non ha più
bisogno dell'arco, né delle frecce, né del bersaglio
- perché il cammino è più importante di
ciò che lo ha messo in moto.
Allo stesso modo, l'alunno che sta imparando a leggere giunge
al momento in cui si affranca dalla lettere isolate, e passa
a creare parole con esse.
Mentre, se le parole fossero tutte unite, non avrebbero senso,
o renderebbero molto complicata la loro comprensione: è
necessario che esistano degli spazi tra le parole.
É necessario, che tra un'azione all'altra, l'arciere si
rammenti di tutto ciò che ha fatto, parli con i suoi alleati,
si riposi e sia contento per il fatto di essere vivo.
Il cammino dell'arco è il cammino dell'allegria e dell'entusiasmo,
della perfezione e dell'errore, della tecnica e dell'istinto.
Ma tu lo imparerai man mano che scoccherai le tue frecce.
Quando Tetsuya smise di parlare, erano già dinnanzi alla
porta della falegnameria.
-Grazie per la compagnia - disse al ragazzo.
Ma questi non si mosse.
-Come posso sapere se sto agendo nella maniera giusta? Come avrò
la certezza di avere lo sguardo concentrato, la postura elegante,
l'arco saldo nella maniera corretta?
-Crea nella tua mente l'idea di un perfetto maestro sempre al
tuo fianco, e fai tutto con lo scopo di riverirlo e di onorare
i suoi insegnamenti. Questo maestro, che molti chiamano Dio,
altri chiamano "la cosa", altri chiamano talento, ci
guarda sempre. Lui merita il meglio.
"Ricordati anche dei tuoi alleati: devi sostenerli, perché
loro ti aiuteranno nel momento in cui ne avrai bisogno. Cerca
di coltivare il dono della bontà: questo dono ti permette
di essere sempre in pace con il tuo cuore. Ma soprattutto non
dimenticare: ciò che ti ho detto forse sono parole ispirate,
ma avranno senso solo se tu le metterai in pratica.
Tetsuya allungò la mano per accomiatarsi, ma il ragazzo
gli domandò:
-Ancora una cosa: come è successo che avete imparato a
tirare?
Tetsuya rifletté un istante: valeva la pena raccontarlo?
Ma siccome quello era stato un giorno speciale, finì per
aprire la porta della sua bottega.
-Preparo un tè. E ti racconterò la storia - ma
tu dovrai promettermi la stessa cosa che ho chiesto mi promettesse
lo straniero: non riferirai mai ad alcuno del mio talento.
Entrò, accese la luce, riavvolse il suo arco con la lunga
striscia di cuoio, e la ripose in un luogo discreto: se qualcuno
per caso la trovasse, penserebbe che sia soltanto una canna di
bambù ritorta. Andò fino in cucina, preparò
un tè, si sedette con il ragazzo e inizio il suo racconto.
-Lavoravo nelle vicinanze per un uomo importante: ero incaricato
di occuparmi delle sue stalle. Ma siccome il signore viaggiava
sempre, e avevo moltissimo tempo libero, decisi di dedicarmi
a quella che ritenevo essere la ragione di vivere vera: l'alcool
e le donne.
"Un bel giorno, dopo varie notti in bianco, ebbi le vertigini
e caddi in mezzo alla campagna. Pensai di stare per morire, e
mi lasciai andare. Ma un uomo che non avevo mai visto prima passò
per la strada, mi soccorse, mi portò fino a casa sua -
in un luogo molto distante da qui - e si prese cura della mia
salute durante i mesi che seguirono. Mentre riposavo, io lo vedevo
che tutte le mattina andava in campagna con il suo arco e le
sue frecce.
"Quando mi sentii guarito, domandai che mi insegnasse l'arte
dell'arco - era molto più interessante che occuparsi dei
cavalli. Lui mi disse che, nel frattempo, la morte si era avvicinata
molto a me, e che adesso niente poteva farla indietreggiare:
stava a due passi da me, io avevo già causato molto danno
al mio corpo.
" Se io desideravo imparare, era solo per evitare di essere
toccato dalla morte.
Un uomo di un paese lontano, dall'altra parte dell'oceano, gli
aveva insegnato che era possibile deviare per qualche tempo la
strada verso il baratro della morte. Ma nel mio caso, per il
resto dei miei giorni, occorreva che fossi cosciente del fatto
che stavo camminando sul margine di questa abisso, e potevo cadere
in qualsiasi momento.
"Mi insegnò quindi il cammino dell'arco. Mi presentò
ai suoi alleati, mi costrinse a partecipare a delle gare, e presto
la mia fama si diffuse in tutto la nazione. Quando si rese conto
che avevo già imparato a sufficienza, si prese le mie
frecce, il mio bersaglio, lasciandomi solo l'arco come ricordo.
Disse che usassi tutti quegli insegnamenti per fare qualcosa
che mi riempisse veramente di entusiasmo.
"Io dissi che la cosa che più mi piaceva era la falegnameria.
Lui mi benedisse, mi chiese di partire e di dedicarmi a ciò
che mi piaceva fare, prima che la mia fama come arciere potesse
distruggermi, o mi riportasse alla vecchia vita.
" Da allora, ingaggio una lotta continua contro i miei vizi
e l'autocommiserazione.
Occorre che sia concentrato, che mantenga la calma, che faccia
con amore il lavoro che ho scelto, e che non sia attaccato al
momento presente.
Perché la morte continua ad essere molto vicina, l'abisso
è vicino, e io cammino sul bordo."
Tetsuya non disse che la morte è sempre vicina a tutti
gli esseri viventi: il ragazzo era ancora molto giovane, e non
c'era bisogno che si fermasse a pensarci.
Né disse Tetsuya che ogni tappa del cammino dell'arco
era presente in qualsiasi attività umana.
Benedisse semplicemente il ragazzo, nella stessa maniera in cui
fu benedetto molti anni fa, e chiese che se ne andasse, perché
la giornata era stata lunga, e aveva bisogno di dormire.
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