A.S.D. Compagnia degli Arcieri di Treviso
   

Racconti d'arco
   







 

   

 

Feayandain il Bastardo
di Rebaf

Era un enorme esercito, forse il più grande che si fosse mai visto su questo mondo, fra le moltitudini di soldati umani che viaggiavano con quell'esercito vi era anche un mezzo sangue, nato dall'unione tra un'elfa e un uomo, era là con la sua maledizione a combattere. Con il suo sguardo triste osservava file e file di soldati umani, si era fatto crescere la barba per assomigliarvi ma le sue orecchie a punta e i suoi begli occhi a mandorla lo tradirono di fronte a migliaia d'uomini. Marciava ormai da ore, il suo nome era Feayandain, che nella lingua degli Elfi significava bastardo; odiava il suo nome, il suo nome era un simbolo stesso della sua maledizione di essere nato da sangue elfico e umano, era stato disprezzato e insultato dagli Elfi, quando ancora viveva con loro, ma un giorno si stufò di ciò e se ne andò. Percorse vecchi sentieri elfici e raggiunse le città degli Uomini, là fu "accettato" incontrò altri mezzelfi, e trovò la sua ragione di vita: combattere. Divenne un mercenario, ma la sua tristezza era permanente, con il suo sguardo triste e il suo nome, la sua origine era continuamente rilevata dai suoi tratti somatici, e ogni tanto quando un bimbo passava Feayandain poteva sentire i commenti della madre "Vedi bambino mio, non ti innamorare di un'Elfa se non vuoi far nascere un mezzelfo, uno come quelli lì, non è brava gente da disprezzare" Feayandain, anche abituato, sentiva il suo orgoglio da Elfo venire ferito ogni volta che sentiva commenti del genere, ma ormai nulla era più importante tanto meno la sua storia a questo mondo, aveva deciso di andare a morire con questo esercito degli Uomini del Nord. Ultimamente una guerra imperseverava tra gli Uomini del Nord e quelli del Sud, sarebbe morto per una causa non sua ma facendo la cosa che più amava: combattere. Ad un tratto si andò a scontrare contro il soldato davanti a lui, che imprecò contro il mezzelfo:" Brutto bastardo, guarda dove metti i tuoi luridi piedi elfici" Feayandain si limitò, a bloccarsi e a scusarsi con un timoroso "scusa", poi poté sentire la possente voce del comandante parlare a tutto l'esercito da sopra una piccola collina che sovrastava l'interno esercito. Poi una lacrima sgorgò sul viso di Feayandain, quella lacrima significava il ricordo per il bastardo, era il ricordo di lei ma ormai era lontana, lei era nei boschi elfici al riparo da questa stupida guerra, probabilmente non l'avrebbe mai più rivista. Ad un tratto una voce dietro di lui parlò:" Sei triste Feayandain?" il mezzelfo si girò verso la voce e poté notare il viso di un giovane umano, Feayandain:"Si sono sempre triste." l'uomo gli sorrise:" Sono Jerat Gax, comandante degli Arcieri, mi hanno assicurato che hai una particolare abilità con gli archi." Feayandain:" Me la cavo, sai dato il mio sangue elfico ho una certa destrezza "concluse il bastardo con una vena di malinconia al ripensare alla sua parte elfica, l'arciere umano sorrise e disse:" Vieni da me, via da questi rozzi soldati con le loro spade aiutami a comandare tutti questi rozzi arcieri umani abbiamo bisogno di te per vincere questa guerra." Feayandain:"Così potrei sopravvivere a questa battaglia, quello che cerco è la morte insieme a dei miseri soldati, non il comando." Jaret:"Pensaci, bastardo, pensaci." Poi con agili passi l'uomo scomparve. Il mezzo sangue quella sera nel campo non riuscì a prendere sonno, e neanche a svagarsi sentendo patetiche storie di scorribande d'Orchetti narrate da stufi Bardi che da mesi erano qui nel campo a tenere a bada i bollenti spiriti dei rozzi guerrieri arruolati nell'esercito. Dopo una certa ora il silenzio prese il sopravvento sul campo si udiva solo il rumore prodotto dagli stivali in cuoio dei soldati di turno che perlustravano i confini del campo alla ricerca di qualche anomalia, e finalmente in quel momento il sonno vinse la sua battaglia con Feayandain in un campo di battaglia chiamato dormiveglia. La mattina tutto il campo fu svegliato dalle melodiose voce dei Bardi che intonavano un inno all'alba, il bastardo non era mai riuscito a farsi piacere quelle canzoni, l'unica cosa che pensava da giorni era quella di poter combattere e di morire là sul campo di battaglia, morire con onore, non aveva mai pensato al suicidio era una cosa così disonorevole anche per un mezzo sangue come lui. Passò giorni e giorni con lo stesso e unico pensiero che gli martellava la mente e quasi gli faceva scoppiare il cervello tale era l'ossessione del suo desiderio, per cinque giorni e quattro notti marciò in silenzio e non scambiando alcuna parola con nessuno, infine al pomeriggio del quinto giorno incontrarono il nemico. Lui era lì davanti a loro. Con le loro armature di metallo nero, ma non un nero qualunque, un nero assoluto che inghiottiva luce ovunque egli passasse. Da quell'esercito un uomo su un cavallo del medesimo colore della sua armatura si parò avanti al suo esercito e urlò verso l'esercito di Uomini del Nord:" Io sono Kelb il Dannato, Comandante dell'Esercito del Nostro Maestro Reel Signore del Male, siamo qua per combattervi, o miscredenti. "Subito dopo dall'esercito di Feayandain un'altra figura si mise davanti al suo esercito, al contrario di Kelb il Dannato, lui era vestito con un'armatura e un mantello bianchi, un bianco che emanava santità e luce da ogni parte, un colore quasi accecante tale era la sua purezza, montava un cavallo anch'esso bianco e la sua voce melodiosa disse:"Il mio nome è Yerel, non ho titoli, ma un signore lo ho, lui è Horostus Supremo Signore del Bene. Noi siamo qua per annientarvi Servi dell'Oscurità!" Poco dopo i due eserciti al comando dei due rispettivi comandanti cominciarono a scontrarsi, Feayandain attendeva questo momento da giorni, e si lanciò all'attacco con un furore mai visto! E data la sua bravura nella spada e poi nell'arco quel primo giorno riuscì a sopravvivere, alla sera i due eserciti si ritirarono sfiancati dalle perdite che entrambi avevano ricevuto, era una tregua temporanea sicuramente l'indomani mattina, nel nome dei loro dei, i due comandanti avrebbero mandato i rispettivi eserciti all'attacco e il Grande Padre solo lo sa se mai si arriverà a qualcosa. Il bastardo era arrabbiato, con se stesso, arrabbiato della sua bravura. Lui voleva morire, voleva morire. Dagli occhi scorsero della lacrime che lo accecarono temporaneamente, preso dalla frenesia di questo pensiero impazzì, e fece l'estremo gesto che non ha onore, prese una sua freccia e se la conficcò facendola passare da tempia a tempia. Non gridò, perché in fondo non aveva paura di morire, quella era l'unica cosa che voleva e finalmente l'aveva avuta.
La mattina a ritrovarlo fu Jerat Gax, voleva sentire da lui una risposta. E quando lo vide li disteso a terra la ebbe, capì che il Feayandain aveva avuto ragione fin dal loro primo incontro, era destinato a morire in modo onorevole o no, non a comandare. "Era destinato a morire, non a comandare" con questo ultime parole nella mente Jaret Gax se ne andò e con i suoi soliti passi agili se ne andò, chi notava bene la figura di Jaret poteva notare che mentre se ne andava delle goccie simili ad acqua scendevano dal monte e cadevano a terra, si Jaret pianse la morte di Feayandain, pianse il suo crudele destino da bastardo.