Era un enorme esercito,
forse il più grande che si fosse mai visto su questo mondo,
fra le moltitudini di soldati umani che viaggiavano con quell'esercito
vi era anche un mezzo sangue, nato dall'unione tra un'elfa e
un uomo, era là con la sua maledizione a combattere. Con
il suo sguardo triste osservava file e file di soldati umani,
si era fatto crescere la barba per assomigliarvi ma le sue orecchie
a punta e i suoi begli occhi a mandorla lo tradirono di fronte
a migliaia d'uomini. Marciava ormai da ore, il suo nome era Feayandain,
che nella lingua degli Elfi significava bastardo; odiava il suo
nome, il suo nome era un simbolo stesso della sua maledizione
di essere nato da sangue elfico e umano, era stato disprezzato
e insultato dagli Elfi, quando ancora viveva con loro, ma un
giorno si stufò di ciò e se ne andò. Percorse
vecchi sentieri elfici e raggiunse le città degli Uomini,
là fu "accettato" incontrò altri mezzelfi,
e trovò la sua ragione di vita: combattere. Divenne un
mercenario, ma la sua tristezza era permanente, con il suo sguardo
triste e il suo nome, la sua origine era continuamente rilevata
dai suoi tratti somatici, e ogni tanto quando un bimbo passava
Feayandain poteva sentire i commenti della madre "Vedi bambino
mio, non ti innamorare di un'Elfa se non vuoi far nascere un
mezzelfo, uno come quelli lì, non è brava gente
da disprezzare" Feayandain, anche abituato, sentiva il suo
orgoglio da Elfo venire ferito ogni volta che sentiva commenti
del genere, ma ormai nulla era più importante tanto meno
la sua storia a questo mondo, aveva deciso di andare a morire
con questo esercito degli Uomini del Nord. Ultimamente una guerra
imperseverava tra gli Uomini del Nord e quelli del Sud, sarebbe
morto per una causa non sua ma facendo la cosa che più
amava: combattere. Ad un tratto si andò a scontrare contro
il soldato davanti a lui, che imprecò contro il mezzelfo:"
Brutto bastardo, guarda dove metti i tuoi luridi piedi elfici"
Feayandain si limitò, a bloccarsi e a scusarsi con un
timoroso "scusa", poi poté sentire la possente
voce del comandante parlare a tutto l'esercito da sopra una piccola
collina che sovrastava l'interno esercito. Poi una lacrima sgorgò
sul viso di Feayandain, quella lacrima significava il ricordo
per il bastardo, era il ricordo di lei ma ormai era lontana,
lei era nei boschi elfici al riparo da questa stupida guerra,
probabilmente non l'avrebbe mai più rivista. Ad un tratto
una voce dietro di lui parlò:" Sei triste Feayandain?"
il mezzelfo si girò verso la voce e poté notare
il viso di un giovane umano, Feayandain:"Si sono sempre
triste." l'uomo gli sorrise:" Sono Jerat Gax, comandante
degli Arcieri, mi hanno assicurato che hai una particolare abilità
con gli archi." Feayandain:" Me la cavo, sai dato il
mio sangue elfico ho una certa destrezza "concluse il bastardo
con una vena di malinconia al ripensare alla sua parte elfica,
l'arciere umano sorrise e disse:" Vieni da me, via da questi
rozzi soldati con le loro spade aiutami a comandare tutti questi
rozzi arcieri umani abbiamo bisogno di te per vincere questa
guerra." Feayandain:"Così potrei sopravvivere
a questa battaglia, quello che cerco è la morte insieme
a dei miseri soldati, non il comando." Jaret:"Pensaci,
bastardo, pensaci." Poi con agili passi l'uomo scomparve.
Il mezzo sangue quella sera nel campo non riuscì a prendere
sonno, e neanche a svagarsi sentendo patetiche storie di scorribande
d'Orchetti narrate da stufi Bardi che da mesi erano qui nel campo
a tenere a bada i bollenti spiriti dei rozzi guerrieri arruolati
nell'esercito. Dopo una certa ora il silenzio prese il sopravvento
sul campo si udiva solo il rumore prodotto dagli stivali in cuoio
dei soldati di turno che perlustravano i confini del campo alla
ricerca di qualche anomalia, e finalmente in quel momento il
sonno vinse la sua battaglia con Feayandain in un campo di battaglia
chiamato dormiveglia. La mattina tutto il campo fu svegliato
dalle melodiose voce dei Bardi che intonavano un inno all'alba,
il bastardo non era mai riuscito a farsi piacere quelle canzoni,
l'unica cosa che pensava da giorni era quella di poter combattere
e di morire là sul campo di battaglia, morire con onore,
non aveva mai pensato al suicidio era una cosa così disonorevole
anche per un mezzo sangue come lui. Passò giorni e giorni
con lo stesso e unico pensiero che gli martellava la mente e
quasi gli faceva scoppiare il cervello tale era l'ossessione
del suo desiderio, per cinque giorni e quattro notti marciò
in silenzio e non scambiando alcuna parola con nessuno, infine
al pomeriggio del quinto giorno incontrarono il nemico. Lui era
lì davanti a loro. Con le loro armature di metallo nero,
ma non un nero qualunque, un nero assoluto che inghiottiva luce
ovunque egli passasse. Da quell'esercito un uomo su un cavallo
del medesimo colore della sua armatura si parò avanti
al suo esercito e urlò verso l'esercito di Uomini del
Nord:" Io sono Kelb il Dannato, Comandante dell'Esercito
del Nostro Maestro Reel Signore del Male, siamo qua per combattervi,
o miscredenti. "Subito dopo dall'esercito di Feayandain
un'altra figura si mise davanti al suo esercito, al contrario
di Kelb il Dannato, lui era vestito con un'armatura e un mantello
bianchi, un bianco che emanava santità e luce da ogni
parte, un colore quasi accecante tale era la sua purezza, montava
un cavallo anch'esso bianco e la sua voce melodiosa disse:"Il
mio nome è Yerel, non ho titoli, ma un signore lo ho,
lui è Horostus Supremo Signore del Bene. Noi siamo qua
per annientarvi Servi dell'Oscurità!" Poco dopo i
due eserciti al comando dei due rispettivi comandanti cominciarono
a scontrarsi, Feayandain attendeva questo momento da giorni,
e si lanciò all'attacco con un furore mai visto! E data
la sua bravura nella spada e poi nell'arco quel primo giorno
riuscì a sopravvivere, alla sera i due eserciti si ritirarono
sfiancati dalle perdite che entrambi avevano ricevuto, era una
tregua temporanea sicuramente l'indomani mattina, nel nome dei
loro dei, i due comandanti avrebbero mandato i rispettivi eserciti
all'attacco e il Grande Padre solo lo sa se mai si arriverà
a qualcosa. Il bastardo era arrabbiato, con se stesso, arrabbiato
della sua bravura. Lui voleva morire, voleva morire. Dagli occhi
scorsero della lacrime che lo accecarono temporaneamente, preso
dalla frenesia di questo pensiero impazzì, e fece l'estremo
gesto che non ha onore, prese una sua freccia e se la conficcò
facendola passare da tempia a tempia. Non gridò, perché
in fondo non aveva paura di morire, quella era l'unica cosa che
voleva e finalmente l'aveva avuta.
La mattina a ritrovarlo fu Jerat Gax, voleva sentire da lui una
risposta. E quando lo vide li disteso a terra la ebbe, capì
che il Feayandain aveva avuto ragione fin dal loro primo incontro,
era destinato a morire in modo onorevole o no, non a comandare.
"Era destinato a morire, non a comandare" con questo
ultime parole nella mente Jaret Gax se ne andò e con i
suoi soliti passi agili se ne andò, chi notava bene la
figura di Jaret poteva notare che mentre se ne andava delle goccie
simili ad acqua scendevano dal monte e cadevano a terra, si Jaret
pianse la morte di Feayandain, pianse il suo crudele destino
da bastardo.