A.S.D. Compagnia degli Arcieri di Treviso
   

Racconti d'arco
   







 

   

 

Il sogno di Fingal
di Orus

Una netta figura scura si stagliava contro il cielo, indomita, piantata sulle robuste gambe in cima alla collinetta, tenendo a distanza lo stuolo nemico che gli si accaniva contro; respingendo ogni tentativo d'attacco roteando nell'aria la lunga spada brandita a due mani che brillava della luce riflessa del sole ogni volta che l'astro si specchiava in essa.

Le vesti lacere e insanguinate dai nemici abbattuti e dalle ferite subite, vigile con lo sguardo e i sensi tesi ad anticipare i movimenti intorno a lui.
Ultimo baluardo a difesa della libertà del suo popolo. Intrepido eroe sprezzante del sacrificio chiesto in quella estrema lotta. Una figura quasi irreale che spiccava su tutto e su tutti, nel suo freddo e ritmico movimento che lo faceva apparire come una macchina micidiale. Simile ad un direttore d'orchestra compreso e conquistato dalle note di quella macabra sinfonia scandita dalle urla e i gemiti di dolore di coloro che cozzavano con l'acciaio della lama, che vibrando nell'aria, produceva un ritmico, lugubre accompagnamento di fondo.
Il tempo scorreva inesorabile e le forze venivano meno, la resistenza era già oltre ogni limite.
La spada si era fatta pesante e i fendenti, pur sempre precisi e mortali, erano più lenti. I bracci si erano arrossati del suo sangue, mentre un rivolo rosso scendeva lento dalla gamba destra.
La sua mente impegnata al massimo cercando di anticipare le mosse nemiche non aveva tempo per sentire il dolore procurato dalle ferite.
Era cosciente che non sarebbe andato avanti per molto, ma era deciso a vendere cara la pelle.
Improvvisamente dal lato sinistro dello schieramento avversario un rumore crescente di urla e un cozzare di armi.
La schiera nemica inverte il fronte di lotta, si sposta a sinistra, si apre e, suo malgrado, fa da ala ad un drappello di valorosi che battendosi come leoni, in un attimo sono al fianco del solitario eroico cavaliere che da ore semina morte fra i nemici. Lo circondano, e volgendogli le spalle, lo chiudono in un triplo cerchio.
- Presto le lance di Eric ci raggiungeranno e la vittoria sarà nostra, mio signore. Dobbiamo resistere ancora per poco.
La possente lama rossa di sangue cala dall'alto e penetra nel terreno con un sordo fruscio; per la prima volta l'uomo respira profondamente e ponendo entrambe le mani sull'elsa dell'arma vi poggia il peso del vigoroso corpo.
Il respiro affannoso si calma mentre calde gocce di sudore solcano il suo viso. Un soldato gli porge dell'acqua. Lo sguardo del sovrano e il mezzo sorriso sono il ringraziamento per quegli intrepidi uomini giunti a proteggerlo. Solleva una mano dall'elsa e prende la fiasca colma d'acqua, la porta alla bocca e beve, poi l'alza sopra la testa e lascia che l'acqua lo bagni e lo rinfreschi.
Dopo aver reso la fiasca al soldato si rivolge al suo prode capitano.
- Grazie Bragg... chi è rimasto a difesa delle mura?
- Tuo figlio Elmer e Duncan; non dubitare sono in grado di resistere fino all'arrivo di Eric.
- Chi lo ha avvertito?
- Fedric è riuscito a passare le linee nemiche e a tornare ad avvertirci. Si era travestito da mendicante e nessuno lo ha preso in considerazione. Eric porterà tremila cavalieri e mille fanti con macchine da guerra. Dovrebbe giungere ma non prima dell'alba.
- Dobbiamo lasciare questa collina e rientrare nella fortezza, non possiamo resistere fino all'alba.
- Lo sappiamo mio signore e siamo qui per questo. Adesso ad un mio segnale Kegan uscirà con alcuni cavalieri per distrarre il nemico, in quel momento cercheremo di sfondare a destra e raggiungerlo. Poi correremo verso la fortezza, gli arcieri faranno il resto.
- È un piano con molte lacune; da uomini senza speranza.
- Già, ma con un po' di fortuna...
- D'accordo, se restiamo qui saremo tutti uccisi. Dai pure il segnale.
Bragg porta il corno alla bocca e vi soffia con forza. Il suono giunge alle mura della fortezza, sulle quali si trova Duncan.
- Il segnale. - urla sporgendosi nel cortile - Presto uscite, presto. Arcieri pronti. Caricate quelle catapulte.
Le porte si aprono con rumore e cinquanta cavalieri escono urlando e agitando le spade. Il nemico li vede e muove una parte dei suoi uomini contro di loro. Contemporaneamente dalla collina Bragg lancia i soldati contro i nemici. Le armi s'incrociano e si abbattono sugli uomini d'ambo le parti, ma i fanti di re Fingal sono ottimi combattenti e in poco tempo riescono a liberarsi dell'accerchiamento e a riunirsi con i cavalieri giunti in loro aiuto.
La lotta è cruenta e alcuni valorosi cadono sul campo, ma la tattica riesce; stanno correndo verso la fortezza protetti dalle frecce degli arcieri e dal fuoco delle catapulte. I nemici non insistono nell'inseguimento e il re e i suoi valorosi riescono a tornare nel loro maniero.
Per ora il nemico è al di là delle mura, adesso si tratta di attendere la nuova alba e con essa la salvezza o la capitolazione.
La notte sta per finire, presto il buio cederà alla luce dell'alba. Fingal osserva dagli spalti della fortezza i fuochi del campo nemico accampato fuori le mura. C'è un gran movimento al centro, alte sagome scure indicano che le torri d'assalto e le catapulte vengono trascinate verso il forte. Chissà se Eric arriverà in tempo.
Il sole si prepara a spuntare da dietro la linea dei monti, lo sguardo di Fingal è fisso verso l'orizzonte; una moltitudine di guerrieri si profila sul bordo della collina. Immobile, in attesa. I vessilli al garrire nella brezza del mattino, i cavalli che soffiano e scalpitano con impazienza.
Improvviso un fremito attraversa la macchia scura, un movimento lento, sinuoso come quello dell'onda che va baciando dolcemente la riva. Un attimo e l'orda armata dilaga giù per il pendio e come l'onda sotto lo sferzare della tempesta, acquista vigore; accelera il suo andare stringendosi al centro. S'agita sotto le urla d'incitamento, s'allunga in una corsa sfrenata fino a formare una grande punta scura che come un dardo mortale s'incunea con violenza nelle file nemiche squassandole. Come quell'onda che s'increspa di bianca spuma, così quell'orda si colora del luccichio delle lame che seminano morte e del sangue che arrossa l'arme e il terreno.
Come una ferita le schiere nemiche si allargano, debole e vana la resistenza davanti a quella forza dirompente che penetra in profondità falciando il nemico come le spighe di grano.
Adesso si allarga in orizzontale in una lotta corpo a corpo, colpo su colpo cerca di travolgere i guerrieri assaliti e ottenere la vittoria.
Lo schieramento nemico si richiude ricomponendosi, ma oramai era tardi; l'orda è penetrata e come un morbo si allarga a macchia d'olio facendo scempio del nemico.
In poco tempo è schierata davanti alle mura della fortezza. Davanti a loro il nemico e sulle colline spuntano i fanti di Eric. In poco tempo catapulte e grandi balestre sono posizionate alle spalle del nemico.
Le porte della fortezza si spalancano e altri cavalieri e fanti, al comando di Fingal e il fido Duncan, affiancano Eric.
- Benvenuto Eric. - dice il re
- La mia spada al tuo servizio, amico mio. Liberiamoci di questi traditori.
- Non vedi l'ora di impartir loro una dura lezione; d'accordo, dai tu il segnale d'attacco e che la sorte arrida agli audaci.
Il corno risuona e dalla collina iniziano a piovere sull'orda nemica massi, ordigni infuocati e frecce lunghe come lance. Il nemico risponde all'attacco con gli stessi mezzi. Adesso frecce e massi s'incrociano nell'aria e, a volte, si cozzano; da ambo le parti morti, feriti e corpi dilaniati.
Poi dalla collina rotolano enormi ruzzole di paglia infuocata che investono ogni cosa e chiunque, fermandosi solo ai piedi delle torri d'attacco o sulle catapulte. In un attimo è il caos, l'esercito nemico sbanda, si divide in gruppi cercando di evitare il fuoco assassino. Eric comprende che quello è il momento giusto per intervenire e si lancia alla carica seguito dal re e dagli altri; le spade sguainate che scintillano al sole e le urla di battaglia.
Ben presto il nemico è sbaragliato; chi non ha trovato la morte o è riuscito a fuggire viene fatto prigioniero e disarmato. Ai feriti la possibilità di giurare fedeltà al Re e le cure dei cerusici o l'ultimo colpo di spada che pone fine alle loro sofferenze.
Re Fingal ed Eric, accompagnati dalla guardia reale, cavalcano fra i corpi dei caduti, cercano i loro prodi soldati feriti o le loro spoglie per onorarle e renderle ai cari; poco avanti trovano Bragg appiedato e ferito, una freccia spunta dalla sua spalla. Un cenno del re e due uomini a cavallo lo soccorrono; uno di loro cede il suo destriero.
- Prode Bragg ti sia merito del tuo valore.
- Mio Sire ho fatto solo il mio dovere. Sono felice per la vittoria che avete riportato sul campo.
- La mia vittoria è la vostra, di tutti voi, perché voi l'avete realizzata.
Il drappello procede lento verso le mura della fortezza mentre le guardie ogni tanto sferrano colpi di lancia su corpi dei nemici riversi a terra.
Sono giunti davanti ad una torre d'attacco semidistrutta dal fuoco; i legni bruciano ancora e fra le fiamme s'intravedono corpi carbonizzati; il drappello piega a destra per aggirare l'ostacolo ed evitare i miasmi e il fumo.
Una volta oltre appare la sagoma della fortezza. Come se si sentisse osservato re Fingal si gira ancora indietro, giusto in tempo per vedere un arciere nemico, che poggiandosi ai neri resti della torre di legno, ha teso l'arco verso di lui.
Uno scarto del cavallo, il grido di Eric, le guardie che si voltano di scatto e caricano contro l'uomo, ma la freccia è già partita. Il Re guarda la lama di Bragg che stacca di netto la testa dell'arciere mentre la freccia gli trapassa il collo. La mano lascia la presa e il re cade a terra, la spada si conficca nel terreno come la croce sulla tomba.
Sente i polmoni scoppiare, il sangue che cola dal collo, il riflesso del sole che batte sulla lama gli acceca gli occhi, un rantolo gli sale fino alla gola; con uno sforzo apre gli occhi...
È a sedere sul letto, madido di sudore, il sole che filtra dalla finestra batte violento sul guanciale; la testa gli duole, è confuso, non riesce a riprendere fiato.
Un rumore sordo rimbomba nella sua testa; qualcuno bussa alla porta. Si asciuga la fronte.
- Entrate - urla quasi in collera.
- Padre il nemico è sotto le mura - grida Elmer.
- La mia armatura, presto - grida il re alzandosi dal letto.
Un servitore si appresta alla vestizione, mentre il figlio gli porge la spada.
Ha sognato tutto, che nottata!
Il nemico è sotto la fortezza e si appresta ad attaccare; ma lui è vivo; è ancora vivo... Maledetti sogni!
Poco dopo è sugli spalti, con tutti gli altri, ad osservare le forze di Valdar sulla spianata mentre posizionano le catapulte, le torri, gli arcieri nelle retrovie. I fuochi si accendono.
L'aveva già vissuto in sogno con la differenza che non si trova accerchiato dal nemico sul campo, ma se ne sta a guardare da sopra le mura.
L'amico Eric non era stato avvertito. Cosa significava quel maledetto sogno? Il presagio della sua morte?
- Chiamate Fedric, ditegli di passare le linee nemiche e andare ad avvertire il conte Eric.
- Padre facciamo una sortita, prendiamoli di sorpresa mentre stanno preparando il campo.
- Non avere fretta di morire. La fortezza è imprendibile, possiamo resistere quanto vogliamo. Non è intelligente sprecare vite umane per una bravata. Ci servono tutti gli uomini e presto te ne accorgerai. Devi imparare a pazientare; un buon sovrano sa attendere. Un re saggio deve pensare a difendere il regno e il suo popolo. Domani le schiere di Eric saranno alle spalle del nemico.
Dalla torre di sinistra un grido:
- Là, sulla collina, i vessilli di Grennar.
- Guardate padre, l'emblema di Eric. Ma come può essere già qui, nessuno lo ha avvertito, Fedric deve ancora partire.
E il sogno inizia a divenire realtà.
Eric schiera le sue forze sulla collina, poi attacca. La battaglia ha inizio, è qualcosa che Fingal ha già visto. Presto la cavalleria di Grennar è sotto le mura e lui deve uscire con i suoi e completare ciò che è iniziato.
- Che tu sia il benvenuto Eric. Ma come sapevi?
- Da tempo i miei uomini seguivano le mosse di Valdar e quando lui si è messo in marcia lo abbiamo seguito fino a qui.
La battaglia è finita.
Adesso stanno percorrendo lentamente il campo di battaglia cosparso di morti e feriti; Bragg e la guardia reale hanno racchiuso in cerchio il re, Eric, suo figlio Elmer. Fingal ripensa al sogno osserva guardingo da ogni parte, sprona il cavallo a destra e a sinistra, a volte compie un intero giro su se stesso per guardarsi le spalle. Gli altri se ne avvedono.
- Cosa ti turba? - Chiede Eric
- Niente, amico mio, ho come un brutto presentimento. Teniamo gli occhi ben aperti. Sento un'ombra scura su di me, ma non so spiegarti perché e cosa significhi.
- Bragg! - Urla Eric - allarga il cerchio e non fermarti.
Gli uomini si allargano e aumentano il passo. Sono davanti alla torre nemica che ancora sta bruciando. Il cavallo di Fingal s'impenna e nitrisce nervoso, sente lo stato d'animo del suo cavaliere. Scarta a destra, urta quello di Elmer. Eric si ferma indietreggia; Bragg gira più volte su se stesso cercando di inquadrare meglio la situazione.
Un attimo e una figura appare da dietro la torre semidistrutta, è armata di lancia; anche Fingal l'ha vista e carica verso di essa. La lancia si libra nell'aria verso di lui, si china da un lato schivandola; Fingal è sopra l'uomo e con rabbia lo trapassa con la spada. Sollevato per lo scampato pericolo gira il cavallo e torna verso i suoi fidi.
Solo allora si accorge che un uomo è a terra. Eric inginocchiato accanto al corpo, Bragg in piedi con la lancia fra le mani.
Elmer è caduto.
- Elmer...!
Si getta su di lui, lo stringe al petto: - Elmer, figlio mio!
Ecco la freccia che gli trafigge il collo. L'intenso dolore al petto; l'urlo disumano che sta salendo dalle viscere; il senso di soffocamento...
Ha ucciso suo figlio; quel giavellotto era destinato a lui.
Doveva accettare il suo destino, perché lo ha schivato?
Una battaglia inutile per salvare un regno che non ha più un futuro. Ciò che ha costruito e difeso si è dissolto nel nulla. Dovrebbe essere al posto di Elmer; vorrebbe.
Vorrebbe essere pianto e non piangere una così gran perdita. Non escono lacrime dai suoi occhi chiusi; non ha più senso la vita; ne avrebbe molto più la sua morte.
Maledetti sogni!
Un ultimo sguardo ad Elmer.
Vede Elmer sopra di lui; sta piangendo; anche gli altri piangono.
Ma, Elmer, poco prima, giaceva a terra esanime; com'è possibile?
Il petto che sanguina è il suo.
Intorno è silenzio, li vede parlare ma non ode cosa dicono.
Uno strano peso sul torace lo infastidisce, ma non riesce a muoversi, è la sua spada con l'elsa rivolta verso il viso; le sue mani stringono la lama.
Il regno è salvo.